L’intestino al comando: come i batteri influenzano fame e sazietà

La regolazione del senso di fame è un processo complesso, influenzato da una miriade di fattori genetici, ambientali e comportamentali.

Negli ultimi anni, l’attenzione della ricerca scientifica si è sempre più concentrata sulla modulazione dei segnali di fame e sazietà e sul ruolo critico che il microbiota intestinale può giocare in tali meccanismi.

La recente review The Physiology of Hunger a firma del Dr. Alessio Fasano, pubblicata quest’anno sul prestigioso New England Journal of Medicine, illustra nel dettaglio quanto scoperto finora sull’argomento. Comprendere questa intricata interazione è fondamentale per sviluppare strategie dietetiche più efficaci, in particolare nel contesto delle diete ipocaloriche.

Meccanismi di interazione: asse intestino-cervello e ClpB

La fame e la sazietà sono orchestrate da un sistema complesso che coinvolge il sistema nervoso centrale, l’asse intestino-cervello e vari ormoni gastrointestinali.

La fame omeostatica è regolata da segnali sensoriali provenienti principalmente dal tratto gastrointestinale che agiscono sull’ipotalamo per mantenere l’equilibrio energetico.

Tuttavia, è ormai evidente che il microbiota intestinale si interseca profondamente con questi meccanismi omeostatici, aggiungendo un ulteriore livello di complessità e opportunità di intervento.  La composizione e la funzione del microbiota intestinale, infatti,  possono influenzare i circuiti della fame in vari modi:

  • influenzando la permeabilità della barriera intestinale e l’attivazione immunitaria, che a loro volta possono avere un impatto sulla funzione cerebrale e sulla percezione della fame, come nel caso dell’aumento di traffico di lipopolisaccaride che attiva il sistema immunitario e altera il metabolismo energetico inibendo la segnalazione della leptina e aumentando la produzione di cortisolo;
  • attraverso gli ormoni e i metaboliti rilasciati nella circolazione sistemica (come SCFA e serotonina)
  • direttamente attraverso il sistema nervoso enterico e il nervo vago (con produzione di neurotrasmettitori e peptidomimetici).

Un esempio particolarmente interessante e promettente di questa interazione è la proteina microbica ClpB (caseinolytic peptidase B). Si è dimostrato che ClpB, prodotta da specifici ceppi batterici intestinali (come Hafnia alvei HA4597®), è una molecola mimetica dell’ormone stimolante i melanociti-alfa (α-MSH), un potente neurotrasmettitore anoressizzante endogeno prodotto dalle cellule enterocromaffini e nell’ipotalamo.

La ClpB è in grado da un lato di raggiungere i nuclei ipotalamici del cervello della periferia e di legarsi ai recettori dell’ α-MSH nel cervello, attivandoli e riproducendo così l’effetto di soppressione dell’appetito mediato da questo ormone; dall’altro, stimola le cellule enteroendocrine a rilasciare ormoni intestinali quali PYY (peptide tyrosine tyrosine), GLP-1 (glucagon-like peptide-1) che, a loro volta, agiscono a livello centrale per ridurre l’appetito e promuovere la sazietà, rallentando lo svuotamento gastrico e modulando l’attività neuronale nell’ipotalamo.

Vari studi clinici hanno dimostrato che l’aumento dei livelli di ClpB nell’intestino è associato a una riduzione dell’assunzione di cibo e a un maggiore senso di sazietà.

Implicazioni cliniche: il microbiota come bersaglio terapeutico

La gestione del peso, specialmente nelle diete ipocaloriche, è spesso ostacolata dal senso di fame e dalla difficoltà nel mantenere la compliance.

La capacità di modulare il microbiota intestinale per influenzare la fame e la sazietà potrebbe rappresentare una strategia adiuvante estremamente preziosa.

Sebbene la ricerca sia ancora in corso, lavorare sul microbiota attraverso interventi dietetici mirati associati a una terapia probiotica di precisione che possano aumentare la produzione di molecole come ClpB, potrebbe offrire un approccio innovativo per aiutare i pazienti a ridurre la fame e migliorare l’aderenza alle diete per la perdita di peso.