Perché spesso l’uso dei probiotici è percepito come fallimentare? Il caso dei probiotici di precisione

Nell’ultimo secolo lo sviluppo di batteri probiotici ha subito un notevole sviluppo grazie alle nuove tecniche di lavorazione e alle moderne metodiche di analisi genetica.

Si è passati dai lattobacilli ai bifidobatteri, organismi molto più complessi, con capacità metaboliche superiori rispetto ai lattobacilli ma che richiedono processi lavorativi più sofisticati per ottenere prodotti finiti che garantiscano una adeguata colonizzazione dell’ospite.

Successivamente la ricerca, con l’ausilio delle moderne analisi genomiche, ha permesso di identificare specie e ceppi particolari tra i lattobacilli e i bifidobatteri che possiedono caratteristiche che li rendono unici, ponendo le basi per associare ad un ceppo probiotico specifico la soluzione ad una determinata problematica.

Nell’articolo pubblicato di recente su Nature Moving from probiotics to precision probiotics i ricercatori hanno esaminato in modo critico come e perché l’uso dei probiotici venga percepito in maniera discordante sia dalla classe medica che dai soggetti che ne fanno uso.

Quali sono i limiti nell’uso di ceppi probiotici oggi?

In primo luogo, bisogna esaminare come gli integratori probiotici vengono utilizzati dalla classe medica e dai pazienti; questi, infatti, vengono consumati come prodotti che apportano benefici in maniera omogenea, senza distinzione tra specie o ceppi. Questo approccio è in netto contrasto con la letteratura scientifica che riconosce un’efficacia dei probiotici specifica per ceppo e per indicazione.

Tale approccio errato si deve affiancare alle problematiche che normalmente un prodotto probiotico può avere come l’interazione con il microbiota dell’ospite, variabile da individuo a individuo, per età, dieta seguita e grado di colonizzazione più o meno persistente al termine della somministrazione.

Questo impatto variabile è associato ad una scarsa risposta dell’ospite e suggerisce come l’attuale approccio empirico ai probiotici sia limitato dall’incapacità di prevedere un effetto sul soggetto.

Come ci si dovrebbe approcciare all’uso corretto dei probiotici?

Le moderne metodiche di analisi genomica hanno portato a identificare nuovi ceppi batterici e, insieme alle più avanzate metodiche di coltivazione, si sono potuti sviluppare dei ceppi, soprattutto anaerobi stretti, che fino a ieri era impossibile da produrre come ad esempio Akkermansia muciniphila e Faecalibacterium prausnitzii.

Il nuovo approccio allo sviluppo e alla scoperta di ceppi così specifici da essere definiti “probiotici di precisione”, deve essere concepito in maniera similare alla scoperta di nuovi farmaci. Questi batteri, infatti, vengono studiati prima per il loro fenotipo, ovvero le caratteristiche che li rendono unici e poi per il loro target d’azione, ovvero il sito dove espletano le loro azioni metaboliche in grado di modificare lo stato di salute dell’ospite.

Una dimostrazione concreta di questa strategia è rappresentata dallo sviluppo del ceppo batterico Hafnia alvei HA4597.

Questo microrganismo è stato selezionato in quanto capace di produrre ClpB, un neuropeptide che mima l’azione dell’ormone saziante nell’uomo. L’effetto “anoressizzante” dell’Hafnia alvei HA4597 è stato mostrato prima nei topi ed oggi oggetto di studio sull’uomo, nel tentativo di trovare una soluzione efficace e sicura per aumentare la compliance alla dieta ipocalorica dei soggetti in sovrappeso.

L’esempio illustra come la comprensione dei meccanismi molecolari tra microrganismi e uomo possa indirizzare all’uso di probiotici di precisione facilmente utilizzabili nella medicina e nella nutrizione e che possano garantire un successo terapeutico; per questo motivo i ricercatori suggeriscono di sviluppare delle vere e proprie “linee guida” nell’uso dei probiotici.

satilia