Sindrome metabolica come predittrice del rischio cardiovascolare

La sindrome metabolica è una patologia molto comune nei paesi industrializzati; si stima che oltre il 40% degli over 50 sono affetti da questa patologia. La diagnosi viene effettuata quando sono presenti 3 o più dei seguenti sintomi: eccesso di grasso addominale, una glicemia plasmatica a digiuno alta, ipertensione, un alto livello di trigliceridi e bassi livelli di lipoproteina ad alta densità (HDL). Nei soggetti con un eccessivo girovita l’aumento di questi valori, anche di poco superiori ai limiti stabiliti nelle linee guida, rappresenta un fattore di rischio importante.

In precedenza si pensava che solo i diabetici di tipo 2 affetti da sindrome metabolica fossero maggiormente a rischio cardiovascolare, mentre dall’analisi dell’ultima review con meta-analisi The Metabolic Syndrome and Cardiovascular Risk che ha esaminato oltre 3000 studi clinici, includendo solo 87 lavori che prendevano in considerazione 951.083 pazienti affetti da sindrome metabolica, è emerso che indipendentemente dalla presenza di altre patologie, i soggetti avevano un maggior rischio cardiovascolare e di mortalità.

Quali sono i meccanismi convolti nella sindrome metabolica che aumentano il rischio cardiovascolare?

Essendo una patologia multifattoriale, il meccanismo che influenza il rischio cardiovascolare è ancora oggetto di discussione, l’ipotesi più accreditata è sicuramente legata all’insulino-resistenza e alla presenza eccessiva di grasso addominale. Queste due condizioni portano ad un aumento diretto dei valori glucidici e attraverso meccanismi complessi a livello epatico si ha indirettamente anche l’aumento del colesterolo LDL e dei trigliceridi.

Altro aspetto importante è che gli adipociti ingrossati producono grosse concentrazioni di interleuchine infiammatorie che a loro volta incrementano l’insulino-resistenza. Si genera così un circolo vizioso che si autoalimenta ed espone il soggetto ad uno stato protrombotico e proinfiammatorio.

Nella meta-analisi è emerso che le donne hanno un rischio cardiovascolare maggiore dell’uomo, questo è dovuto al fatto che l’adiposità centrale e l’aumento dei valori di LDL sono più pronunciati dopo la menopausa, nelle donne che soffrono di ovaio policistico e in chi ha avuto un diabete gestazionale.

Quali sono le terapie per i soggetti in sindrome metabolica?

Le linee guida suggeriscono come primo approccio una dieta sana ed esercizio fisico costante, a volte viene indicato l’uso di metformina per il controllo glucidico. Fondamentale è la gestione dei fattori di rischio cardiovascolare. Non sempre gli approcci terapeutici vengono seguiti dai pazienti e l’uso di farmaci viene respinto da soggetti che apparentemente non si sentono malati.

Nel recente position paper intrasocietario Nutraceutici, integratori e alimenti funzionali nel controllo della colesterolemia – Una guida per il medico redatto dalle principali società scientifiche quali la Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC), la Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione (SISA), l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e la Società Italiana di Cardiologia (SIC), è stato suggerito l’uso di nutraceutici con comprovata efficacia nel paziente con sindrome metabolica, o alterazioni metaboliche complesse, con basso rischio assoluto di eventi cardiovascolari secondo l’algoritmo SCORE.

Tra tutte le sostanze analizzate, la berberina ha mostrato i risultati più significativi sia nel ridurre i parametri glucidici quali HOMA-IR, glicemia a digiuno e post-prandiale, ma anche nel ridurre i valori lipidici come LDL e trigliceridi. Il ruolo del medico è fondamentale nello scegliere il giusto approccio terapeutico per i pazienti in sindrome metabolica prevenendo così il rischio cardiovascolare.

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